menti in fuga - le voci parallele

menti in fuga - le voci parallele / menti critiche / @Giovanni_Dursi / Atomi reticolari delle "menti critiche", impegnati nella trasformazione sociale e "messa in questione del rapporto tra la forma capitalista (intesa come Gestalt, come forma della percezione) e la potenza produttiva concreta delle forze sociali, particolarmente la potenza dell’intelletto generale"

venerdì 15 gennaio 2016

Il grande accattone

Accattone/Vittorio (Franco Citti) è un sottoproletario delle borgate romane. Non lavora, vive facendo il “pappone” di una puttana, Maddalena (Silvana Corsini). Abitano in una baracca semidiroccata con Nannina (Adele Cambria), la moglie e i figlioletti di Ciccio, un guappo/sfruttatore che è in galera. Le giornate di Accattone passano lente, quasi immobili, in un baretto sgangherato insieme agli amici (Mommoletto, Piede d’oro, il Capogna, Pupo biondo, Peppe il folle, il Tedesco, Balilla, Cartagine, il Cipolla, il Moicano)... abbacinati dalla svogliatezza di vivere.

Per mostrare di non aver paura della morte e anche per raccattare un po’ di soldi, Accattone si tuffa da un ponte nel Tevere dopo aver mangiato e vince la scommessa. Alle sue spalle appare per la prima volta nel cinema pasoliniano, un “angelo di marmo”, che sembra proteggerlo. In modi diversi o sotto altre spoglie, la visione angelica pasoliniana sarà una presenza costante nella sua opera filmica. È un “angelo necessario” che annuncia una vita fantastica che è alla fine o al fondo di noi stessi. È l’“angelo dell’accoglienza” che fa della sensibilità e della tenerezza la trasparenza dei sogni. È l’“angelo dell’immaginazione” che porta la lieta novella dell’amore – da cuore a cuore – e fa della fanciullezza il centro focale dove uguaglianza e diversità si fondono nella favola bella e malinconica dell’infanzia.
Il film ha un sussulto, quasi un fuori scena di derivazione Nouvelle Vague... quando appare la banda di napoletani... vogliono sapere chi ha fatto la spiata e mandato il loro amico Ciccio (sfruttatore di Maddalena prima di Accattone) in carcere. Accattone tradisce Maddalena e dice ai napoletani che è stata lei a denunciarlo. La donna viene investita da una motocicletta. Deve restare a letto con una gamba fasciata. Accattone la schiaffeggia e la costringe ad andare a battere il marciapiede come ogni sera. I napoletani la prendono, la portano in una discarica e la picchiano a sangue. Sullo sfondo le luci di Roma abbagliano un cielo nero e le grida della donna si perdono nella notte. In questura Maddalena non denuncia i suoi aggressori ma Cartagine e Balilla, non fa il nome di Accattone e viene rilasciato... Maddalena è accusata di falsa testimonianza e deve scontare un anno di carcere. Accattone resta solo. Senza soldi, senza nessuno che lo aiuti. Va a trovare la sua ex-moglie Ascenza (Paola Guidi) che lavora in una laveria di bottiglie, per chiedere dei soldi. Qui conosce Stella (Franca Pasut), una ragazza bella, ingenua (figlia di una prostituta), fuori del tempo e della storia. Accattone s’innamora di Stella e vanno a vivere nella casupola di Nannina. 
Per comprare le scarpe a Stella, ruba a suo figlio un’esile catenina d’oro.  Accattone, per amore della ragazza cerca anche di lavorare, da un fabbro. Il primo giorno di lavoro è sfinito. Quando ritorna in borgata gli amici lo prendono in giro, scoppia una rissa e Accattone viene pestato. La notte fa uno strano sogno. Vede i cadaveri dei napoletani nudi, semisepolti sotto la terra e lui col vestito della festa che va al suo funerale. È in ritardo, gli amici lo chiamano, manca solo lui. Ai cancelli del cimitero il becchino (Polidor) lo ferma... a lui è vietato l’ingresso. Tutto è inondato di luce, è il Paradiso. Il becchino gli scava la fossa in una zona d’ombra, Accattone gli chiede di essere seppellito un po’ più in là, al sole. Accattone cerca di avviare Stella alla prostituzione ma al suo primo cliente la ragazza rifiuta di fare la marchetta e scoppia in lacrime. Intanto una puttana, Amore (Adriana Asti), viene arrestata in una retata e finisce in cella con Maddalena e altre prostitute (tra queste si riconosce un’interessante Elsa Morante). Amore dice a Maddalena che il suo ex-protettore sta ora con Stella. Maddalena lo denuncia e la polizia controlla i suoi movimenti.

Accattone, Cartagine e Balilla girano per Roma per mettere a segno qualche furtarello. Mentre rubano dei salumi da un furgone, vengono scoperti dalla polizia. Accattone inforca una motocicletta e fugge... fuori campo si sentono stridori di una frenata e il colpo di uno scontro... Accattone va finire contro un camion e con la testa sanguinante sull’acciottolato, morente, dice: “Mo' sto bene”. Balilla si fa il segno della croce (alla rovescia) con le le manette ai polsi.

Il debutto di Pasolini come autore cinematografico è fulminante. ACCATTONE fa subito scandalo ed è subito poesia in forma di cinema. L’universo del sottoproletariato romano diviene una metafora del mondo e quei primi piani, le grezze panoramiche, la sacralità dei corpi di una gioventù alla deriva della civiltà dei consumi che avanza dal centro della metropoli ed esplode in quelle periferie assolate... portano in sé una diversa tecnica filmica e una diversa poetica cinematografica che fanno di questo film una specie di “ballata neo(sur)realista” di irripetibile bellezza.

ACCATTONE racconta l’emarginazione suburbana romana ma è evidente che la metafora si allarga ai Sud del mondo. È una storia che sviscera la profonda miseria delle borgate di Torpignattara, del Pigneto e dai margini della grande città riporta alle radici di un’esistenza offesa, bastonata, deflorata senza rimedio. Pasolini coglie i segni della condizione umana povera e vigliacca di personaggi che vivono ai margini delle periferie e da qui ne escono in galera o morti. In questa degradazione esistenziale Pasolini vede “qualcosa di sacro” che crolla nella caduta personale di Accattone e nello stesso tempo risorge nel segno della croce blasfemo finale di Balilla. “La morte, il presentimento della morte domina, è una presenza – ora segreta, ora esplicita – sospesa sul film dalla prima all’ultima inquadratura” (Morando Morandini), che infonde all’opera un percorso primordiale, quasi una lacerazione di un’innocenza ritrovata e immediatamente perduta sulla quale si può solo piangere o bestemmiare.

È vero quello che ha detto Jean Collet – ACCATTONE è fratello di MOUCHETTE – (...  hanno lo stesso assetto visionario che li conduce nei luoghi della trasversalità ereticale e nell’incoscienza di una crudeltà amicale, fraterna, dolorosa... trasmutano lo schermo in un sudario passionale che si chiama fuori dalla storia quotidiana.
ACCATTONE è “un film ambiguo, lacerato, dunque un’opera d’arte” (Jean Collet). Lo sguardo pasoliniano su Accattone è inquietante, sofferto ma anche distaccato. Non giudica la sua vita, né comprende la sua disperazione. Non ci sembra (come dice Alberto Moravia) che Accattone è “soprattutto l’espressione d’una sclerosi etica, di un’inconscia volontà suicida”, piuttosto vediamo in Accattone un testimone tragico dei mondezzai (delle periferie del mondo) prodotti dalle forme di discriminazione/sperequazione della collettività moderna.
ACCATTONE contiene in sé secoli di dolore e di sottomissione di un’umanità diminuita. È un discorso sulla fame, sulla miseria, sulla solitudine... che si prende gioco di ogni politica, di ogni fede e fa della condizione emarginata l’ultimo strappo di un sociale profanato per sempre. Quello di Accattone è un destino tragico che si avvolge nel mito e nell’incoscienza di chi affronta il quotidiano giorno dopo giorno, morso dopo morso. Pasolini costruisce un apologo contro la pacificazione domestica piccolo-borghese, sceglie l’inquietudine come insicurezza e interrogazione dell’esistenza di tutti.
Le cifre stilistiche/espressive di ACCATTONE sono elementari e gli omaggi a Ejzenstejn, Dreyer, Mizoguchi, Chaplin o Bergman si riconoscono senza difficoltà... le baracche della periferia romana, le immondizie, le facce irripetibili di un popolo miserabile schiacciato sotto l’avanzare della modernità vanno a comporre un florilegio iperreale della “diversità”.
La figura di Accattone è stata associata a un “cristo anarchico” (Sandro Petraglia). Non ci sembra così. La sacralità o la fatalità psicologica nelle quali il film è depositato, sono piuttosto un espediente narrativo e la degradazione viscerale di un uomo che vive nel fango e nella polvere (ha detto da qualche parte, Pasolini). 
ACCATTONE intreccia la surrealtà maledetta di opere disperate che hanno scritto la storia del cinema e dell’uomo, con i resti dello splendore neorealista contaminato da riferimenti pittorici medievali e dalla musica di Johann Sebastian Bach, che conferiscono al film un'aura innovativa del linguaggio cinematografico.
La fotografia in bianco e nero (Tonino Delli Colli) di ACCATTONE è “cruda”, “grezza”, racconta lo stupore del “vero” senza cadere nella retorica della cronaca o del falso documentario. Pasolini chiese a Delli Colli una fotografia sgranata, contrastata, tagliata sui bianchi e sui neri. Delli Colli usò la pellicola Ferrania P. 30, la più dura che si trovava sul mercato... “da un positivo fu fatto addirittura un controtipo, ossia fu stampata bene una copia dal negativo diretto, e poi da questa copia, da questo positivo, fu ricavato un altro negativo. Il tutto, quindi, si indurì persino maggiormente” (Tonino Delli Colli) e il film assunse un’aura di grande spessore emozionale/figurativo che proietta Pasolini accanto ai maestri dell’irriverenza poetica come Chaplin, Dreyer, Welles, Buñuel o Bresson.
L’essenzialità figurale di Pasolini supporta non poco l’approssimazione scenografica... sovente la cinecamera sfiora, si sofferma, descrive i numerosi comprimari di Accattone che emergono dalla loro realtà devastata e qui la lezione etica di Rossellini, De Sica o Buñuel esplode in tutta la sua forza comunicativa. Il montaggio (Nino Baragli) è frammentato... a tratti lento, largamente giocato su metafore ardite o contrasti improvvisi, delinea già la magia affabulativa sulla quale Pasolini costruirà tutto il suo cinema a venire.
I montatori (italiani) erano abituati ad aggiuntare la pellicola sulle uscite e le entrate in campo... procedimento che non esisteva nel film di Pasolini, che faceva “un controcampo a Frascati e un altro a Venezia” (Nino Baragli). Proprio come Welles, Ejzentstejn o Buñuel. Quando Pasolini “decideva di fare un campo lungo o un primissimo piano, avevo l’impressione di assistere all’invenzione del campo lungo o del primissimo piano. La prima volta della storia del cinema” (Bernardo Bertolucci).
Il tocco filmico pasoliniano è subito chiaro: cinecamera a mano, inquadrature forti, primi piani azzardati, lente panoramiche... tutto immerso in un’estetica della trasgressione che trasfigura l’impossibilità di vivere il reale nei recinti istituzionali e delinea l’utopia dei senzastoria che scardina il pensiero protetto dello Stato. Sono tematiche che scivoleranno in ogni lavoro pasoliniano (cinematografico, poetico, giornalistico o letterario) e andranno a costruire un universo insanguinato dove la strada è la trasparenza dell’immaginario calpestato e la fede, la cultura o la politica il male di esistere nel cerchio conviviale della civiltà dello spettacolo.
L’interprete di Accattone è Franco Citti, un ex-imbianchino e amico di Pasolini. “La sua miseria materiale e morale, la sua feroce e inutile ironia, la sua ansia sbandata e ossessa, la sua pigrizia sprezzante, la sua sensualità senza ideali e, insieme a tutto questo, il suo atavico, superstizioso cattolicesimo pagano” (Pier Paolo Pasolini), bruciano lo schermo come nessuno e fanno dei limiti del dolore, la sovversione non sospetta che non ha né inizio né fine... è il rovesciamento del convenzionale e della temporalità addomesticata, il capovolgimento di una situazione statica che dà voce al silenzio genuflesso degli oppressi. Pasolini è, su molti piani, l’interprete più “scoperto” di un’umanità emarginata, depredata, violentata... la trasgressione che porta sullo schermo, nei libri, nella vita personale e quotidiana è quella di una presenza forte e anomala, che schianta l’insieme della cultura del sospetto e fa della fede politica/religiosa i luoghi della sofferenza e della rivolta. Al fondo di ogni trasgressione c’è la ribellione contro il Padre, contro Dio, contro lo Stato... e solo attraverso la trasgressione l’uomo è capace di divenire padrone  della propria intelligenza e rovesciare il prestabilito della propria epoca.


Citti nasce nella borgata di Torpignattara... conosce la guerra, la fame, il riformatorio, la disperazione, l’inesistenza, la non-vita, la merda... la prima volta che ha fatto l’amore è stato con una puttana. Il riformatorio è l’unico posto che ricorda come casa sua. “Mi facevo dei ragazzini in riformatorio. Ce n’erano per lo meno tre innamorati di me... con la scusa dell’età o del brutto muso ti approfittavi di quelli che avevano più di te, di quelli che ricevevano dai parenti più soldi, più regali, più pacchi-viveri. Quella era vita. Vinceva chi riusciva a coltivarsi il più gran numero di ‘culetti bianchi’, come chiamavamo quelli che venivano da Milano o soltanto dal Nord” (Franco Citti).
Il personaggio di Accattone nasce nelle pizzerie, nelle osterie, sul tramvetto azzurro di Grotte Celoni, nei racconti di borgata che Sergio e Franco Citti (davanti a un litro di vino) facevano a Pasolini. Accattone era uno che esisteva davvero, se ne parlava tra “i malandri" della Acqua Bullicante, come di un paraculo senza fissa dimora che viveva di espedienti. Una specie di «leggenda» di periferia, un Robin Hood da quattro soldi, che non rubava ai ricchi per dare ai poveri, ma che si rimediava la giornata per sopravvivere. Magari fregando un altro povero, ma che non era mai tanto povero come lui” (Franco Citti). Lo chiamavano Accattone perché “accattonava la vita” e poi tutti nelle borgate avevano dei soprannomi. Il quel micromondo di diseredati tutti parlavano di Accattone ma nessuno lo conosceva bene. Appariva e scompariva dal nulla. Ogni tanto in borgata venivano a sapere che aveva fatto un colpo al Tiburtino Terzo o al Prenestino, poi più niente per lungo tempo.
In principio, i produttori di Accattone volevano come interprete Franco Interlenghi... Pasolini insistette su Citti e crediamo che il suo volto/maschera del sottoproletariato universale sia una delle più grandi rivelazioni della storiografia cinematografica. Lo sguardo obliquo, la camminata non impostata, la gestualità essenziale, il sorriso ironico di Citti... “bucano” lo schermo almeno quanto l’interpretazione corrosiva – maschilista – di Marlon Brando (IL SELVAGGIO) o quella schizofrenica – effeminata – di James Dean (GIOVENTÙ BRUCIATA), ma lì è la fiction hollywoodiana che parla, in Citti è la vita della periferia che insorge e debutta sulle sue macerie.
ACCATTONE è stato il primo film del cinema italiano ad essere vietato (con un apposito decreto) ai minori di 18 anni. Le riprese del film furono effettuate tra l’aprile e luglio 1961. Per gli interni, vennero affittati i teatri di posa Incir De Paolis. Per girare gli esterni, la piccola troupe si spostava nella periferia romana (Via Casilina, Via Portuense, Via Appia Antica, Via Baccina, Ponte degli Angeli, Acqua Santa, Via Manunzio, Ponte Testaccio, il Pigneto, borgata Gordiani, la Maranella. Subiaco (il cimitero). Il negativo adoperato non superò 50.000 metri e la copia definitiva durava 116’ e 32 secondi (3.188 m). 
I manifesti pubblicitari del film (splendidi), furono eseguiti su bozzetti di Carlo Levi e Mino Maccari, il costo approssimativo si aggirò intorno ai cinquanta milioni, quanto un film di “serie B” di quegli anni e forse meno. Scelto per la XXII Mostra del Cinema di Venezia (31 agosto), il film di Pasolini ricevette fischi e improperi. Pochi capirono di trovarsi di fronte a un’opera d’arte. I settimanali avvertivano i lettori che si trattava di “un film sui rifiuti umani” (Oggi) o che “quello di Pasolini è, insomma, un mondo a senso unico, dove non affiora mai la speranza o un sentimento capace di dare il senso della dignità umana” (Vita, 7 dicembre 1961). La “sacralità dell’autentico non trovò seguito” (Barth David Schwartz) che in pochi disertori della pubblica opinione.
Alla “prima” di ACCATTONE al cinema Barberini a Roma, un manipolo di giovani fascisti cercarono di impedire la proiezione... lanciarono bottiglie d’inchiostro contro lo schermo, bombette di carta e finocchi tra il pubblico... ci furono colluttazioni e la visione del film fu sospesa per quasi un’ora... intorno a Pasolini si strinsero amici e intellettuali senza museruola e ACCATTONE prese la via degli schermi di ogni parte della terra... da subito, Pasolini mostrò un “cinema di poesia”, in opposizione al “cinema merce”, come linguaggio edulcorato del potere.
Quando il film sarà bloccato in sede di censura e ritirato da tutte le sale italiane... non furono molti i giornalisti che gridarono alla discriminazione... e oltre all’amico Moravia, s’infuriò Mino Argentieri, che dalle pagine di Cinema Sessanta (luglio-agosto 1961), scrisse che era importante agire contro i censori dello Stato in quanto si trattava di un film che raggiungeva la “compiutezza d’arte”. Solo un anno prima, Mario Montagnana, dalle colonne di Rinascita aveva tuonato contro Pasolini, per espellerlo dalle file degli intellettuali graditi dal Partito... dietro l’epurazione chiesta da Montagnana, c’era il fiato marcio del più sardonico, ambiguo, fariseo uomo politico che l’Italia abbia avuto dopo Benito Mussolini, Palmiro Togliatti (il braccio lungo di Stalin, colui che si è macchiato la coscienza di sangue con i massacri degli anarchici e comunisti dissidenti nella guerra di Spagna del ‘36).
Nel 1962, ACCATTONE viene presentato al Festival del cinema di Karlovy Vary (Repubblica Ceca) e vince il Primo premio per la regia. Il coraggio dello spirito e la passione per i diritti civili dell’uomo/della donna non fanno difetto a Pasolini, che infrange la “notte americana” del cinema e interrompe il gioco della commedia attorale e della macchina divistica. “Il cinema e la politica sono la stessa cosa. Hanno entrambi a che fare con lo spettacolo. Il cinema ha a che fare con lo spettacolo, la politica è spettacolo, divertente o meno... C’è lo stesso scarto di partenza, stavo per dire la stessa menzogna, sia nella rappresentazione politica sia nella rappresentazione cinematografica commerciale” (Marguerite Duras). Pasolini denuncia col suo film sia la menzogna politica che la menzogna del cinema. La sua opera non è solo una messa in questione delle responsabilità della classe dominante ma è anche un’accusa contro l’indifferenza e la passività degli spettatori. “Il genio comincia col dolore” (Marguerite Duras), la stupidità con l’euforia o la genuflessione all’ordine dominante.
ACCATTONE esce in tempi agitati, attraversati da strappi culturali e fratture politiche... lo schermo era stato violato da autori eversivi della “fabbrica dei sogni” e Shirley Clarke, Jonas Mekas, Lionel Rogosin, John Cassavetes o Robert Frank... avevano aperto vie del cinema a basso costo, mostrato deviazioni e turbamenti dell’arte cinematografica. L’assalto al cinema del film pasoliniano è talmente particolare che nemmeno i Cahiers du Cinéma (n. 116, 1961), sempre attenti alle pulsioni nuove e ai cambiamenti radicali del linguaggio cinematografico, si accorgono di ciò che passa loro negli occhi... Jean Douchet ignora ACCATTONE alla rassegna veneziana e i Cahiers preferiscono recensire DONNA DI VITA (Jacques Demy), LA NOTTE (Michelangelo Antonioni), EL COCHECITO (Marco Ferreri), LES GODELUREAUX (Claude Chabrol), DOV’È LA LIBERTÀ (Roberto Rossellini), ROCCO E I SUOI FRATELLI (Luchino Visconti), THE CRIMINALS (Joseph Losey), OMBRE (John Cassavetes), BELLISSIMA (Luchino Visconti), KAPÒ (Gillo Pontecorvo), EXODUS (Otto Preminger), ESTER E IL RE (Raoul Walsh), LA VENDETTA DEL GANGSTER (Samuel Fuller), L’ANNO SCORSO A MARIENBAD (Alain Resnais), LA DONNA È DONNA (Jean-Luc Godard, QUESTA SERA O MAI PIÙ (Jacques Deville), SPARTACUS (Stanley Kubrick), IL TESTAMENTO DEL MOSTRO (Jean Renoir), PARIS NOUS APPARTIENT (Jacques Rivette)... si accorgeranno della portata eversiva di ACCATTONE l’anno dopo.

La cultura figurativa di Pasolini (le lezioni di Roberto Longhi su Masaccio, Piero della Francesca all’Università di Bologna sono una presenza costante nel suo fare-cinema...), reinventa “l’iconografia e il senso dello spazio nell’immagine cinematografica” (Gian Piero Brunetta). I primi piani dei personaggi pasoliniani, incastonati sullo sfondo delle periferie metropolitane si rifanno a certi affreschi medievali e divengono icone-simbolo di una visione materica della realtà che è propria dei grandi “sognatori” (da Masaccio a Goya, da Klee a Picasso). Pasolini assume il punto di vista delle sue immagini/metafore, sa che “non ha più senso scrivere per una classe sociale mutata e inseguendo il sogno di una rivoluzione sociale impossibile” (Gian Piero Brunetta)... così pone il suo cinema alla confluenza delle culture transnazionali e tra la realtà e sogno si fa soggetto politico/indocile del presente e testimone eretico/blasfemo della memoria storica del passato.

A
CCATTONE è il primo dei 22 film che compongono la cinevita di Pasolini. Anche se la risonanza di Gramsci e la sua idea di cultura “nazional-popolare” della classe dominata scissa dalla cultura borghese, sembra riguardare da vicino la prima stagione cinematografica pasoliniana... Pasolini affabula i suoi film per un’umanità ideale e in qualche modo contenevano un’insorgenza (mai una prospettiva) rivoluzionaria: la disobbedienza o la ribellione. Accattone vola un’estate... quanto basta per mostrare la sua tragedia personale e quella di tutti i sotto-proletariati suburbani. “Una tragedia senza speranza, perché mi auguro che pochi saranno gli spettatori che vedranno un significato di speranza nel segno della croce con cui il film si chiude” (Pier Paolo Pasolini). La realtà pasoliniana veniva rappresentata con la realtà emarginata di Accattone, quelle facce, quei gesti, quei corpi, quelle parole... erano così nella vita come sul lenzuolo sdrucito dello schermo. La cultura che Accattone esprimeva non aveva una propria morale e la sua interpretazione del mondo restituiva il razzismo evangelizzato della classe dominante. La cultura borghese che Accattone non conosceva, era ciò che respirava e non aveva nessun mezzo (se non la violenza o la bruta criminalità), per mettere in discussione i modelli e i valori imposti. Nella disseminazione della tolleranza istituzionale (puramente formale), “tutti i borghesi sono infatti razzisti, sempre, in qualsiasi luogo, a qualsiasi partito essi appartengano” (Pier Paolo Pasolini). .
ACCATTONE è un’opera di straordinaria bellezza formale, oltre che un film dolcemente poetico, indimenticabile. Accattone “non incontra sul suo cammino il partito comunista e non si redime neppure diventando ladro... Accattone appartiene a un mondo socialmente primitivo, le cui leggi della ragione e della consapevolezza sono confuse annebbiate... Pasolini ha osservato e giudicato i suoi personaggi dall’interno, nel cerchio chiuso di una sotto-società dominata da regole proprie e impermeabile alle sollecitazioni esterne” (Mino Argentieri). ACCATTONE rappresenta la degradazione e l’umile condizione umana di un personaggio della periferia romana, ma contiene anche la “sacralità dell’innocenza” che questa condizione disperata comporta, in ogni società cosiddetta “evoluta”. L’entusiasmo rende imbecilli anche i santi. Nella società dello spettacolo integrato (Guy Debord, diceva), dove tutto è ormai sacro, tutto si può dire o violare. In arte, come nella vita, il padre va ucciso. Il poeta è la fiamma che lo brucia e ci sono maestri della disobbedienza – come Pasolini – che con le loro affabulazioni etiche hanno inchiodato i tribunali delle banalità mercantili nel tanfo della loro epoca. Per sempre. Amen e così sia!
"Pagine corsare", blog dedicato a Pier Paolo Pasolini
Autori e curatori: Angela Molteni, Bruno Esposito
Nel sito, negli archivi e nei sommari potrai trovare gli ipertesti, gli interventi,
le notizie contenuti in oltre dodicimila documenti dedicati a Pier Paolo Pasolini




D B

Il suo era un pensiero geniale, nuovo e anticonformista. Le sue parole hanno segnato generazioni di fan e appassionati e resteranno per sempre nella storia della musica. Di David Bowie, morto all'età di 69.






domenica 10 gennaio 2016

Comicità ?

Natalino Balasso, attore (2 Dicembre 1960, Porto Tolle). Comico e scrittore italiano. Autore e attore di teatro, cinema, radio e televisione, ha debuttato in teatro nel 1991, in televisione a fine anni novanta, al cinema nel 2007 e ha scritto alcuni libri di narrativa.



Film: La giusta distanza, Fuga dal call center, Generazione 1000 euro, La passione, Non pensarci.

Incompreso ... da rivedere per ...

PRESENTATO AL XX FESTIVAL DI CANNES 1967 - DAVID DI DONATELLO NEL 1967 PER LA MIGLIOR REGIA A LUIGI COMENCINI, DAVID SPECIALE A SIMONE GIANNOZZI E STEFANO COLAGRANDE. "Il film "Incompreso" (romanzo omonimo è di Florence Montgomery), che traccia con precisione ed abilità i caratteri dei protagonisti ed i loro contrasti psicologici, volge tuttavia troppo bruscamente alla drammaticità ed in questa si conclude. Ciò nonostante, sono da sottolineare la sicurezza di regia e la accuratezza di diversi elementi linguistici, come la fotografia ed il commento musicale." ('Segnalazioni cinematografiche', vol. 61, 1967) -
Trama: Rimasto improvvisamente vedovo, Duncombe, console britannico a Firenze si trova impreparato a risolvere i problemi relativi ai due figli, Milo di quattro anni ed Andrea di otto. A questo stato di cose crede di poter rimediare in qualche modo assumendo un'austera governante, trattando da persona adulta il figlio maggiore, al quale bruscamente comunica la morte della mamma, e vezzeggiando il più piccolo, Andrea, costretto da tale atteggiamento a rinchiudersi in se stesso, mentre sente vivissimo il dolore per la morte della mamma e ne coltiva l'affetto con mille nascoste manifestazioni, si abbandona alle monellerie tipiche della sua età, guadagnandosi una serie di rimbrotti che lo feriscono ancor di più mentre di ogni piccolo incidente il vivace Milo appare sempre come la vittima del fratello. Dell'errato atteggiamento del console si accorge soltanto suo fratello Will, che lo invita a trattare con maggiore benevolenza il figlio maggiore. Ma Duncombe, dopo avere promesso ad Andrea di condurlo con sè a Roma, per un'ennesima incomprensione, lo castiga. Il ragazzo, turbatissimo, ripete un suo abituale gioco pericoloso e si ferisce mortalmente.

mercoledì 6 gennaio 2016

Apprendimento significativo mediato dalle tecnologie (By Barbara Bevilacqua)

Abstract

Le continue e complesse trasformazioni che caratterizzano la “liquidità” della società attuale, generano, rispetto al passato, nuovi valori e stili di vita, che determinano un cambiamento delle modalità conoscitive e comunicative dell’individuo.
In questa nuova prospettiva sociale la visione costruttivista del sapere, in particolare quella del costruttivismo socio-culturale, fornisce una risposta affinché l’individuo possa divenire protagonista responsabile della sua crescita personale e sociale, attraverso un impegno durevole per tutto l’arco della vita. Il modello di apprendimento significativo presentato in questo contributo intende proporsi come una via praticabile nel contesto formativo e scolastico, per promuovere nello studente la competenza intesa come “saper agire, reagire e co-agire pensando”, per aprirsi responsabilmente all’apprendimento del futuro e costruire e co-costruire una cittadinanza consapevole. In un’ottica europea è la competenza dell’imparare a imparare, che può essere sollecitata in percorsi formativi learning centered, attenti a tutte le dimensioni della personalità dell’apprendente (cognitiva, metacognitiva, pratico-operativa, affettivo-motivazionale, relazionale-sociale). È la competenza che viene alimentata in ambienti di apprendimento che valorizzano i saperi naturali dello studente e danno enfasi al suo ruolo attivo e riflessivo nei processi di costruzione, co-costruzione e condivisione di conoscenza e significato. Sono contesti “autentici”, in cui l’interazione comunicativa e sociale si realizza con altri soggetti, i pari e gli adulti (insegnanti, esperti) facilitatori, coaches e counselors, ma anche con le tecnologie. Queste ultime, dalle più tradizionali alle digitali e telematiche, fino alle moderne tecnologie sociali (web 2.0), sono “partner intellettuali” che aiutano a pensare. La classe diventa knowledge-building community, in cui tutti i membri sono impegnati in compiti autentici, che incoraggiano l’interdipendenza, nell’apprendimento efficace, tra saperi formali, informali e non formali.

Il clima di cooperazione e complicità positiva tra i membri del collettivo, sostenuto dall’utilizzo consapevole e intenzionale delle tecnologie, concorre a promuovere quell’imparare a imparare che si configura come chiave di volta per costruire oggi la cittadinanza digitale consapevole e, conseguentemente, ridurre il digital divide, importante causa del knowledge divide.


1. L'apprendimento significativo nella cornice teorica del costruttivismo socio-culturale

Il concetto di apprendimento significativo nasce all’interno del paradigma costruttivista della conoscenza e si sviluppa in molteplici correnti teoretiche, tra cui il costruttivismo socio-culturale.
La conoscenza è un processo di costruzione di significato da parte del soggetto, che rielabora in maniera personale e in parte arbitraria saperi già acquisiti, sensazioni ed emozioni. Questo processo, però, non rimane circoscritto alla sfera privata: nella consapevolezza che anche l’altro costruisce la propria conoscenza in modo soggettivo, si orienta all’accettazione e alla comprensione di prospettive multiple, [1] mediante forme di interazione comunicativa.
La comunicazione, che sta alla base dell’interazione sociale, è negoziazione di significati, che consente all’individuo di costruire in modo condiviso nuove conoscenze. In quest’ottica la concezione costruttivista dell’apprendimento sottolinea la centralità del soggetto apprendente, che attivamente e intenzionalmente cerca e costruisce la propria conoscenza, riflette sulla sua azione e osservazione in un contesto reale e “autentico”, in cui interagisce con gli altri, con le risorse informative e con le tecnologie. Il processo formativo abbandona la logica dell’insegnamento (teaching centered) a favore dell’apprendimento (learning centered).
L’insegnante non è più considerato un “disseminatore d’informazione”, [2] depositario indiscusso di un sapere universale, astratto e decontestualizzato. È piuttosto un facilitatore, un tutor, un coach e counselor, che guida l’allievo a riconoscere con consapevolezza e a ridefinire in modo riflessivo la trama delle sue competenze.
Lo studente, spinto da personali interessi e motivazioni, costruisce attivamente una propria concezione della realtà attraverso un processo di integrazione di molteplici prospettive, che derivano non solo dalla trasmissione di saperi codificati, ma anche dalle conoscenze ed esperienze pregresse, in una dimensione dialogica in cui l’“interscambio dialettico” ha lo scopo di ottenere una “costruzione di con-senso”[3]. Lo sviluppo della conoscenza è un’“impresa sociale”, [4] frutto della comunicazione interpersonale, del confronto e dello scambio all’interno della comunità di appartenenza, della condivisione e negoziazione di significati espressi da una comunità di interpreti.
Da qui il modello di apprendimento significativo oggi ampiamente condiviso nell’ambito formativo, che vede David Jonassen [5] tra i più illustri sostenitori.

2. Caratteristiche dell'apprendimento significativo

D. Jonassen, nella sua progressiva riflessione sul paradigma costruttivista socio-culturale, giunge a una definizione di apprendimento significativo fondata  su alcuni attributi: attivo, costruttivo, intenzionale, autentico e cooperativo. [6]
L’apprendimento è attivo se coinvolge attivamente l’apprendente nella costruzione della sua conoscenza in contesti significativi, mediante la manipolazione di oggetti, l’osservazione e l’interpretazione dei risultati dei suoi interventi.
Papert, [7] a tal proposito, parla di “artefatti cognitivi”, strumenti che consentono al soggetto in situazione di apprendimento di addentrarsi in un’esplorazione in cui costruire da solo i propri progetti, provare schemi e manipolare nozioni e idee, modificando lo status di “consumatore” di informazioni in quello di “produttore” di conoscenza. [8]
L’apprendere è quindi un processo alimentato dal fare pratico, necessario ma non sufficiente per generare apprendimento significativo.


L’azione, infatti, si traduce nell’imparare attraverso un fare costruttivo, che richiede la comprensione del compito, delle consegne e procedure, la riflessione cognitiva e metacognitiva sulle esperienze in corso, la comprensione del “perché” e del “come” della propria azione. Riflettendo su una situazione dubbiosa, gli studenti integrano le nuove esperienze e informazioni ricevute dall’esterno con la loro precedente conoscenza del mondo, in una sorta di negoziazione interna volta a trovare un senso a ciò che osservano. Iniziano costruendo i propri e semplici modelli mentali attraverso cui spiegano ciò che analizzano. Con l’esperienza e la riflessione tali modelli diventano sempre più complessi e richiedono, pertanto, una rappresentazione mentale più articolata, l’utilizzo di diversi processi di pensiero.
L’apprendimento avviene in modo significativo anche quando implica eventi consapevoli, intenzionalmente diretti al raggiungimento di un obiettivo e carichi emotivamente. Quando gli studenti intendono attivamente e deliberatamente conseguire un obiettivo cognitivo, pensano e imparano di più perché stanno realizzando un’intenzione. Ciò consente loro di utilizzare più efficacemente le conoscenze che hanno costruito in nuove situazioni, governando il cambiamento e le circostanze imprevedibili. La consapevolezza dello scopo da perseguire promuove la capacità di effettuare scelte e compiere decisioni e, conseguentemente, rafforza la convinzione di possedere le necessarie abilità, gli indispensabili strumenti e schemi d’azione per raggiungere le mete prefissate. Entrano così in gioco gli aspetti motivazionali, estremamente determinanti nel favorire lo sviluppo di processi di apprendimento significativo. Se lo studente sviluppa un sentimento di autostima e accresce la propria autoefficacia (self efficacity), [9] maggiori sono la disponibilità, l’attenzione e l’impegno profusi nel compito e più matura la motivazione ad apprendere.
Jonassen mette in evidenza come l’apprendimento significativo sia anche autentico, cioè contestualizzato e complesso. Gli studenti imparano di più e meglio se sono impegnati in “compiti autentici” [10], emergenti da “contesti autentici”, strettamente correlati al mondo reale, in cui si affrontano “problemi autentici”, quelli che si incontrano normalmente nella vita di tutti i giorni, dimostrando di essere in grado di risolverli utilizzando e applicando in modo intelligente le conoscenze e le abilità acquisite in nuove situazioni.
Il contesto, secondo Jonassen, è rappresentato dalle comunità di apprendimento e di costruzione di conoscenza, in cui le persone apprendono in forma cooperativa, imparando a considerare criticamente differenti e varie prospettive per affrontare e risolvere problemi. La cooperazione richiede la conversazione tra i partecipanti. Gli allievi che lavorano in gruppo devono necessariamente negoziare una comprensione comune del compito, concordare la scelta di metodologie adeguate per realizzarlo. La classe si fa comunità di apprendimento, «comunità di cui lo studente diviene membro cosciente e legittimo, attraverso un’accresciuta identità (dell’io attraverso il noi) che gli dà coscienza sociale, senso di responsabilità, spirito d’iniziativa, capacità critica, spirito di solidarietà». [11]
In questa dimensione sociale dell’apprendimento le comunità di studenti sono considerate, in un’ottica vygotskijana, molteplici “zone di sviluppo prossimale”, dove il mutuo tutoraggio tra pari, alimentato dallo scaffolding cognitivo (“sostegno” dei compagni esperti, dell’insegnante, dell’esperto), crea “coreografia di squadra”, [12] che orienta senza dirigere le teorie ingenue dell’allievo. Questi è così guidato a rivisitare il suo sapere e a riflettere sulle sue esperienze; è facilitato nella soluzione di problemi in una situazione di impasse; è sostenuto nei processi di costruzione della conoscenza, di sviluppo di abilità e competenze utili al conseguimento di obiettivi formativi centrati sui suoi bisogni. I processi interattivi tra gli agenti della comunità diventano motore che promuove la comunicazione e la condivisione di conoscenze, abilità, expertise, nonché l’apertura nei confronti di prospettive multiple. La varietà di conoscenze, esperienze e competenze all’interno di un collettivo di lavoro rappresenta un potenziale per un’azione più ampia e ricca, mediante la valorizzazione di tutti i tipi di intelligenza e dei talenti personali; nel contempo tale varietà facilita la legittimazione delle diversità e la comprensione delle differenze.


Ecco allora che il sostegno non si realizza solo sul piano cognitivo, ma anche su quello affettivo-motivazionale e relazionale-sociale. Lo scaffolding affettivo stimola, incoraggia, approva lo studente nel suo avvicinarsi alla pratica esperta. Sollecita la partecipazione attiva, l’interesse e la creatività, agendo positivamente sul senso di fiducia, sui sentimenti di autostima ed autoefficacia, sull’empowerment [13] finalizzato all’impegno e alla responsabilità, quindi sulla motivazione ad apprendere.

Note:
  1. Cfr. H. Gardner, Intelligenze multiple, traduzione dall’inglese di I. Blum, Edizioni Anabasi, Milano, 1994; Educazione e sviluppo della mente. Intelligenze multiple e apprendimento, Erickson, Trento, 2005; Cinque chiavi per il futuro, Feltrinelli, 2007.
  2. A. M. Varisco, Costruttivismo socio-culturale. Genesi filosofiche, sviluppi psico-pedagogici, applicazioni didattiche, Carocci Editore, Roma, 2002, p. 32.
  3. Cfr. ivi, p. 18.
  4. Il termine “impresa sociale” è utilizzato da R. Lesh, H. M. Doerr, in Beyond the constructivism, LEA, Mahwah, NJ, 2003.
  5. David Jonassen è Distinguished Professor presso l‟Università del Missouri – Columbia, Scuola di Scienze dell‟Informazione e delle Tecnologie per l‟Apprendimento. Il sito personale è visitabile all’indirizzo: http://web.missouri.edu/jonassend/
  6. Cfr. D. Jonassen et alii Meaningful Learning with technology, Pearson Education,  Upper Saddle River – New Jersey – Columbus – Ohio, 2008.
  7. Il matematico sudafricano Seymour Papert, uno dei pionieri dell’intelligenza artificiale, è considerato un costruzionista perché sottolinea il ruolo importante che nell’apprendimento attivo rivestono gli “artefatti cognitivi”, oggetti e dispositivi che facilitano lo sviluppo di specifici apprendimenti (in primis il computer).
  8. Cfr. M. Capponi, Un giocattolo per la mente. L’“informatica cognitiva” di Seymour Papert, Morlacchi Editore, 2009, p. 47.
  9. Cfr. G. Le Boterf, Costruire le competenze individuali e collettive. Agire e riuscire con competenza. Le risposte a 100 domande, Edizione italiana tradotta da  M. Vitolo et alii, A. Guia Editore, Napoli, 2008, pp. 130-131.
  10. Cfr. H. Gardner, Intelligenze multiple, op. cit., pp. 117 e 126-131.
  11. A. M. Varisco, Costruttivismo socio-culturale. Genesi filosofiche, sviluppi psico-pedagogici, applicazioni didattiche, op. cit., p. 92.
  12. Cfr. G. Le Boterf, Costruire le competenze individuali e collettive. Agire e riuscire con competenza. Le risposte a 100 domande, op. cit., p. 201.
  13. Per approfondire il concetto di empowerment cfr. ivi, op. cit., p. 213.
- Prima parte

lunedì 4 gennaio 2016

Note per la cultura - 2 - A volte capita di pensare, scrivere, agire ...

"La prima idea da dimenticare, quando si comincia ad occuparsi della “trasformazione sociale” ed a viverla quotidianamente, è che la “politica” possa essere un quieto mestiere con cui si costruiscono perfetti edifici di parole. Le passioni che animano l'attività trasformatrice della presente realtà sociale non sono alimentate dalla “necessità di pensiero”; semmai, alcune fantasie e visioni corroborano, come “gioco di pensiero”, il concreto percorso antagonistico-duale di fuoriuscita dall'atrocità d'una condizione materiale che codetermina forme individuali di vita da negare e formazioni economico-sociali da mutare radicalmente ed irreversibilmente. L'antagonismo sociale post-novecentesco si caratterizza con tipiche operazioni multidimensionali – dal tradeunionismo rivendicativo di natura ecnomico-normativa alla lotta armata antisistema – la cui meta è originare una “crisi del quadro politico strutturale” all'interno d'una generale “crisi di situazione e coscienza”, altrimenti è un fallimento.
Il surrealismo del sedicente antagonismo “simbolico”, veicolato per lo più da “eventi flashmob”, non si addice bene alla “trasformazione sociale”. La pianificazione trasformativa, viceversa, riesce ad organizzare, scuotendo energie proletarie di massa, un interesse pubblico crescente verso la ribellione materiale-coscienziale scoprendone criticamente la sua finalità – il potere politico – per troppi decenni assurdamente emarginato dal vivo della lotta di classe, non a caso anche dalle più alte personalità culturali contemporanee che al surrealismo del sedicente antagonismo “simbolico” si richiamano legittimandone la dispersione di energie eversive.
Da Atene, a Parigi, a Roma, Madrid e altrove in Europa le lotte sociali e le pratiche eversive, solo quando si amalgamano all'ingegno multiforme d'una organizzazione politica rivoluzionaria, rendono la “trasformazione sociale” il terreno privilegiato d'una straordinaria avventura dell'intelligenza umana, liberata dalle retoriche manipolatrici del “riformismo” e dello “spontaneismo”, dalla banalità anastetizzante delle “compatibilità”, dalle consuetudini di certa intelligencija ribellistica ed estetizzante che mal interpreta il concetto marxiano di general intellect che nei Grundrisse è definito come sapere sociale diffuso che il “capitale” valorizza per i suoi scopi, in particolare ai fini dello sviluppo tecnico-tecnologico quale fattore cruciale nella produzione (combinazione di competenze tecnologiche e dell'intelletto sociale, o sapere sociale generale che determina la crescente importanza delle macchine nell'organizzazione sociale) (1).
Consuetudini, queste ultime, mortificanti e, a volta, addirittura annichilenti, quando ancora oggi, tutti i giorni, c'è chi si reca negli altiforni e chi presso le postazioni informatico-telematiche a scrivere desiderando “dare forma all'informe e coscienza all'incosciente”.
La “trasformazione sociale” non prevede romanticismo, né “naturale” evoluzione del sistema produttivo-sociale vigente immaginandone un'imminente implosione.
La “trasformazione sociale” è una complessa costruzione umana, che smonta l'ovvia apparenza della realtà percepita come immodificabile ed insuperabile, stabilisce nessi innovativi tra struttura e sovrastrutture, coglie riferimenti ed analogie tra accumulazione indefinita di ricchezze (economia) e incremento delle conoscenze (cultura), che un'esigua parte del “corpo sociale” realizza, mentre, dall'altra la parte più consistente subisce sfruttamento intensivo e continuo ed alienazione, individua codici nei quali esprimere prassi che sfuggono alla colonizzazione della ragione capitalistica che aprioristicamente incede nel delimitare la sfera dell'esistenza delle moltitudini sottoponendole al dispotismo della sua logica e del suo “sistema valoriale”.
L'antagonismo si spinge nelle zone ignote o volutamente ignorate e proibite delle contraddizioni sociali che le convenzioni politico-partitiche e sindacali esorcizzano come “mistero delle cose”, in modo da imporre all'immaginario di massa ed allo stesso “indefinito interiore” un'immagine riflessa, da parata, da rappresentazione essitenziale alla Truman Show della condizione umana dentro cui soffocare, rimuovere, negare, celare tutta la “realtà altra”, quella del conflitto e della liberazione possibile.

- Continua
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(1) È a tal proposito che Paolo Virno scrive (in "General Intellect" in Lessico postfordista - Dizionario di idee della mutazione, Milano, Feltrinelli, 2001), adattando il concetto all’attuale epoca post-fordista, del lavoro immateriale: “Il lavoro vivo incarna, dunque, il general intellect o “cervello sociale” di cui ha parlato Marx come del “principale pilastro della produzione e della ricchezza”. Il general intellect non coincide più, oggi, con il capitale fisso, ossia con il sapere rappreso nel sistema di macchine, ma fa tutt’uno con la cooperazione linguistica di una moltitudine di soggetti viventi”.

Letture con Riccardo Bellofiore sul "Capitale" di Karl Marx

Il Capitale di Karl Marx - Ciclo di letture con Riccardo Bellofiore